Il codice dei monaci

La gestione camaldolese delle foreste come patrimonio dell'umanità

di Veronique Angeletti

l ruolo da protagonista dell’etica dei monaci di Fonte Avellana e di Camaldoli alla XIII Conferenza delle città creative Unesco (Fabriano, dal 10 al 15 giugno) accende l’attenzione sulla candidatura a patrimonio immateriale de “la gestione mille- naria delle foreste appenniniche e del codice forestale camaldolese”. Candidatura che muove i suoi primi passi nel 2001, sorta da un interessamento diretto da Parigi e che, per la prima volta, vede l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura esaminare un bene immateriale che ha, come origine, un valore etico.

«Una dimensione – dichiara il mo- naco camaldolese Dom Salvatore Frigerio – emersa dalle ricerche sui 45mila documenti sparsi in tutt’Italia che testimoniano gli 856 anni della storia della gestione forestale e si traduce in un rapporto uomo-ambiente applicabile in natura o in città».

I suoi fondamenti risalgono all’an- no Mille, nella prima Regola dell’Ordine. «Era stata in uenzata dall’esperienza vissuta nella e con la foresta e chiedeva ai monaci di essere alberi e di estrarre da 7 specie le proprietà simboliche. Come la sincerità e la dignità del cedro, la sobrietà e la temperanza del mirto o la meditazione e la sapienza dell’abete».

Nasce un’ecologia dove l’ambiente è una realtà da condividere. «Il che ha innescato nei monaci un’atten- zione verso chi abitava i territori. Un’antropologia delle relazioni tra uomo e comprensori. A Camaldoli – commenta – la foresta, gestita e mai sfruttata, è divenuta fonte di ricchezza e, due secoli dopo, sul Catria, dove Fonte Avellana aveva dei territori agrari, i monaci hanno reagito alla sottomissione dei “servi della gleba” per ridare dignità all’uomo facendolo partecipare al prodotto del loro lavoro e alla sua programmazione. Hanno gettato così le fondamenta della mezzadria, delle cooperative, delle comunanze agrarie». Un’economia quella del codice forestale camaldolese a cui il mese prossimo l’Università di Urbino dedicherà un con- vegno. «L’attenzione al territorio era tale – prosegue – che il prodotto economico della gestione delle terre non era destinato ai monaci ma investito nel territorio e a tutela degli abitanti». Cita attenzioni “sindacali” già nel XII secolo come “pensioni per anziani” ,“partecipazione agli utili” per i lavori rischiosi o pesanti, “cure gratuite” negli ospedali dei monaci. «Esiste oggi un’ “eredità inconsapevole diffusa” che vive nelle tecniche forestali tramandate o addirittura nelle proprietà». Esistono ancora terreni vincolati da secoli da en teusi con Fonte Avellana. Diritti mai prescritti su terreni ceduti da proprietari per godere della pace ottenuta dallo statuto di zona franca concesso da bolle papali o da privilegi imperiali di Federico II.

«Nel codice forestale, che è una raccolta e non un libro – insiste – l’ambiente non è un oggetto da gestire ma un soggetto da condi- videre. Ed è questo rapporto uomo-ambiente dimenticato che dobbiamo ritrovare e spiega l’universalità del messaggio di quest’etica». Operativamente, la can- didatura è un corposo dossier che va negoziato. «Abbiamo coinvolto tutte le comunanze agrarie che sono fortemente interessate e ci stiamo preparando ad una serie di passaggi con le istituzioni sul territorio e con il Ministero». Poi la presenza, a giugno, nel Padiglione “Rinasco” alla Conferenza mondiale delle 180 Città Creative Unesco.

Padiglione fortemente voluto dalla Fondazione Aristide Merloni e de- dicato ai territori che “rinascono”, a quelli feriti da disastri naturali o dalle guerre. La consacrazione della valenza universale della gestione etica delle foreste e del codice forestale dei monaci di Camaldoli e di Fonte Avellana.